L’impronta digitale

L’impronta digitale

Cultura umanistica e tecnologia
Lorenzo Tomasin

In breve

L’informatica è davvero il latino del XXI secolo, come afferma oggi chi propone la cultura tecnologica quale nuovo cardine di istruzione, ricerca e politica culturale? La tecnologia sta influendo profondamente sulla cultura umanistica: dalla formazione di base alla ricerca avanzata, essa non offre solo preziosi strumenti al servizio delle scienze, e delle scienze umane in particolare, ma in molti casi tende a riscriverne obiettivi e linguaggi, ponendone in discussione il ruolo nella società e nel sistema dei saperi. Anziché come proficuo mezzo a disposizione di tutte le discipline, la tecnologia si pone spesso come fine o centro del discorso culturale. Il rimedio a questa deriva non è la tecnofobia, ma un’alternativa ragionevole all’oltranza digitale. Nel volume l’autore propone una risposta graffiante ai pericoli di una diffusa idea ingegneristica di lingue, storia e cultura.

Su tutti i saperi umani, anche su quelli umanistici, si è oggi stampata un’impronta digitale destinata forse a essere indelebile, e comunque a mutare per sempre, come molti pensano, alcune abitudini e alcune forme della conoscenza. Forse anche alcuni nostri modi di apprendere. Questa impronta avrà, a parer di molti, un effetto positivo su quello che, un po’ genericamente, potremmo chiamare il progresso umano. Per rendersi conto di quante e quali siano queste salutari ricadute basta guardarsi intorno con sguardo fiducioso e benevolo. E anche quando lo spettatore del mondo sia pigro o diffidente nel cogliere sfide e opportunità dei nuovi paradigmi, il cosiddetto mainstream culturale provvede a ricordargliene le potenzialità ogni giorno, attraverso una comunicazione pubblica insistente, che risuona ovunque e proprio nella sua ampiezza e varietà offre un segno tangibile della nostra libertà. Tale panorama richiede tuttavia una lettura disincantata e non puramente celebrativa, da cui emergono contraddizioni e, forse, qualche pericolo di cui è bene essere avvisati. Su questi aspetti, che mi paiono spesso trascurati nel comune sentire dei nostri giorni, cercherò di soffermarmi, nel tentativo di esercitare e di estendere i confini di quella stessa libertà.

Mi concentrerò, in particolare, su tre ambiti.

Il primo è l’istruzione. Constatare che la tecnologia si è fatta spazio in ogni aspetto della nostra vita ha indotto molti a pensare che essa dovesse averne uno – e magari uno centrale, come si conviene a una realtà di prima importanza – anche nella formazione delle nuove generazioni, dalla scuola fino all’istruzione più avanzata. L’idea ha una sua logica intuitivamente chiara, ma credo sia fallace, o almeno che contenga varie incongruenze.

Il secondo ambito su cui mi concentrerò è la ricerca scientifica, e in particolare quella umanistica. Anche qui la tecnologia ha portato negli ultimi anni aria nuova, schiudendo vie inesplorate alla conoscenza e offrendo metodi e strumenti innovativi. Il rischio, tuttavia, in questo campo è che i mezzi – cioè in concreto gli strumenti di lavoro – siano scambiati per i fini, cioè per gli oggetti precipui di una ricerca che non verte sulle macchine, ma appunto sull’uomo e sulla sua cultura, di cui le macchine sono solo uno dei molti prodotti secondari. In troppi casi, al giorno d’oggi, una ricerca umanistica che stenta a credere all’autonoma dignità e alla vitale importanza dei suoi contenuti si attacca al carro della tecnologia tentando così di affermare la propria attualità e spendibilità.

Il terzo ambito, ben legato ai due precedenti, è quello ancor più generale delle politiche e delle strategie culturali dei paesi cosiddetti avanzati, che sembrano attraversate negli ultimi anni da tendenze di analoga ispirazione. A un declinante prestigio della cultura intesa nel senso tradizionale – tanto umanistica, quanto logico-matematica e delle scienze naturali – si accompagnano, sempre più, il crescente prestigio di discipline tecniche e l’influenza di una classe dirigente culturalmente depauperata e sempre più suggestionata dai miti della tecnologia trionfante. Un passaggio fondamentale verso questa situazione è consistito in uno scivolamento nel quale la cultura umanistica e alcuni suoi ispiratori e teorici novecenteschi hanno gravi responsabilità. A loro si deve, in larga parte, la convalida di un modello binario in cui alle scienze umane si è contrapposto un blocco, a lungo guardato con altezzosa superiorità, composto da una confusa ammucchiata tecnico-scientifica, che ha finito per essere sempre più tecnica e sempre meno scientifica, almeno nella percezione e nella banalizzazione che ne ha fatto una parte della società. Così si è assistito con un misto di distrazione e di dissimulata complicità al soffocamento trasversale della ricerca di base, cioè di tutto ciò che alle tecniche o alle applica zioni pratiche non sia direttamente utile, in nome di un concetto dell’educazione che dell’utilità concreta fa un feticcio.

L’informatica è davvero il latino del XXI secolo, come afferma oggi chi propone la cultura tecnologica quale nuovo cardine di istruzione, ricerca e politica culturale? La tecnologia sta influendo profondamente sulla cultura umanistica: dalla formazione di base alla ricerca avanzata, essa non offre solo preziosi strumenti al servizio delle scienze, e delle scienze umane in particolare, ma in molti casi tende a riscriverne obiettivi e linguaggi, ponendone in discussione il ruolo nella società e nel sistema dei saperi. Anziché come proficuo mezzo a disposizione di tutte le discipline, la tecnologia si pone spesso come fine o centro del discorso culturale. Il rimedio a questa deriva non è la tecnofobia, ma un’alternativa ragionevole all’oltranza digitale. Nel volume l’autore propone una risposta graffiante ai pericoli di una diffusa idea ingegneristica di lingue, storia e cultura.

Su tutti i saperi umani, anche su quelli umanistici, si è oggi stampata un’impronta digitale destinata forse a essere indelebile, e comunque a mutare per sempre, come molti pensano, alcune abitudini e alcune forme della conoscenza. Forse anche alcuni nostri modi di apprendere. Questa impronta avrà, a parer di molti, un effetto positivo su quello che, un po’ genericamente, potremmo chiamare il progresso umano. Per rendersi conto di quante e quali siano queste salutari ricadute basta guardarsi intorno con sguardo fiducioso e benevolo. E anche quando lo spettatore del mondo sia pigro o diffidente nel cogliere sfide e opportunità dei nuovi paradigmi, il cosiddetto […]

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Lorenzo Tomasin

Insegna Filologia romanza e Storia della lingua italiana all’Università di Losanna. Nei suoi studi si è occupato di temi posti tra filologia e dialettologia, storia linguistica e storia letteraria.

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