Formazione
Dizionario gramsciano
1926-1937
a cura di: Guido Liguori, Pasquale Voza
Edizione: 2009
Ristampa: 1^, 2011
Collana: Fuori collana
ISBN: 9788843051434
- Pagine: 920
- Prezzo:€ 80,75
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L'officina gramsciana, per fortuna, non subisce i contraccolpi della crisi. C'è un esercito di studiosi, in Italia e nel mondo, che continuano a lavorare sul grande lascito teorico di Antonio Gramsci - grande in quantità e qualità - traendone materiali preziosi per la battaglia culturale, quindi per la lotta politica. Con buona pace di chi si è già vestito a lutto o sta per traslocare in cerca di nuove sicurezze o di meno precarie gratificazioni. L'ultimo frutto di questo lavoro collettivo - e del buon uso della informatizzazione dei testi - è un vero e proprio monumento al Gramsci carcerario, per il quale siamo grati ai due curatori e ai sessanta collaboratori che hanno preso parte all'impresa (Dizionario gramsciano 1926-1937, a cura di Guido Liguori e Pasquale Voza, Carocci, pp. 918, euro 85). Un lessico dei Quaderni e delle Lettere: perché? e che cos'è? «Questo Dizionario gramsciano 1926-1937 - rispondono Liguori e Voza - si pone l'obiettivo di ricostruire e presentare al lettore, in termini il più possibile accessibili, il significato dei lemmi, delle espressioni, dei concetti gramsciani» e «nasce dalla convinzione che lo stato dei testi carcerari e la loro storia, il metodo "analogico" seguito da Gramsci, lo spirito di ricerca e di dialogicità che li caratterizza, la peculiare "multiversità" del linguaggio dell'autore e persino l'ingente ed eterogenea mole interpretativa prodotta fino a oggi rendano tutt'altro che agevole al lettore comune, e in buona parte anche allo studioso, la comprensione del significato o della possibile gamma di significati delle "parole di Gramsci"». C'è quindi in primo luogo un problema di chiarificazione. Poi c'è la vexata quaestio della cronologia interna dei Quaderni, che non è sempre di lana caprina, perché in molti casi impatta direttamente sulla struttura logica dei concetti. Insomma Gramsci non è affatto facile, capire il suo pensiero è sovente un'impresa, ma poiché il suo contributo è indispensabile, uno strumento come questo è di primaria importanza.
Un supermarket da evitare
Già sentiamo l'obiezione dei postmoderni mistici del frammento: così Gramsci è preso in gabbia! inchiodato alle 629 spine che lo passano ai raggi X! Come se la ricerca della coerenza interna sotto il vincolo della completezza fosse un optional. Su Gramsci si è combattuta, specie negli ultimi anni, una guerra che solo di nome ha riguardato il senso del suo lavoro e che in realtà ha mirato a legittimare l'arbitrio: il preteso diritto di muoversi nel labirinto dei Quaderni come in un supermarket, scegliendo quel che più va genio e ignorando quanto ostacolerebbe il reclutamento di Gramsci tra le file dei postcomunisti, degli anticomunisti, dei filo-atlantisti e chi più ne ha più ne metta. Ma lasciamo andare e godiamoci queste 900 pagine di scavo analitico che compensano alla grande il tempo della loro lettura. Sì, perché questo dizionario è anche un libro da leggere. Lo si può naturalmente usare secondo la sua destinazione primaria, come una bussola per la navigazione (non in alternativa, ma in aggiunta all'indice analitico dell'edizione Gerratana, del quale è un prezioso complemento). Ma può servire anche per costruire nuovi percorsi virtualmente infiniti, reti concettuali suggestive e feconde. Impiegando, in prima battuta, i rimandi che collegano le diverse voci, ma anche costruendo nessi, sfruttando echi e ricorrenze. Facciamo solo un esempio, per spiegarci. Prendiamo tre voci esemplari (rapporti di forza, società civile e Stato), esemplari non solo per la rilevanza dei temi e la loro centralità nella trama teorica dei Quaderni, ma anche per la qualità delle voci: il loro equilibrio e rigore filologico, la loro chiarezza e densità concettuale.
Un pensiero in movimento
Il percorso analitico sui «rapporti di forza» (concetto che Gramsci focalizza in una fondamentale nota del quaderno 13) ne mette perfettamente in rilievo la funzione critica (nei confronti degli schemi economicistici del marxismo volgare) e il connotato dinamico (tutto, nella totalità «politico-storica», è movimento e mutamento, in un flusso continuo di forze che si plasmano a vicenda e interagiscono sul terreno sociale, sul piano politico e in àmbito internazionale). Dopodiché, scandagliando l'articolazione del concetto, la voce rimanda a un ventaglio di lemmi e sintagmi, per così dire esplodendo. Scienza della politica, Machiavelli, soggettivo, volontà, catarsi, Lenin, Prefazione del '59, nazionale-internazionale. E naturalmente, in primis, società civile e Stato. Da qui, ripartendo, si penetra nel cuore stesso della visione politica che prende corpo nei Quaderni e nella quale «società civile» designa, innovando il lessico tradizionale, il luogo privilegiato dell'attività politica informale, quindi dell'egemonia, mentre «Stato» si biforca declinandosi in un significato stretto (come sinonimo di «società politica», sede delle istituzioni del comando, della coercizione, della burocrazia e dell'amministrazione) e in un'accezione larga (anch'essa del tutto originale), come terreno complessivo della sinergia tra direzione (egemonia e consenso) e dominio (forza). Anche in questi casi le voci corrono puntuali per un territorio impervio, chiamando in causa innumerevoli altre parole-chiave: intellettuali, liberismo, diritto, funzionario, blocco storico, guerra di posizione, rivoluzione passiva, Oriente-Occidente...
Basta: non occorre moltiplicare gli esempi. Piuttosto, fermiamoci ancora un istante sulla struttura dell'opera e su quanto essa rivela. Non sorprende che delle 629 voci (129 delle quali dedicate a nomi propri: persone, Stati e luoghi geografici, soggetti politici, istituzioni ed epoche storiche) gran parte delle più corpose attengano alla politica (analisi e teoria). Ma è interessante che gli insiemi semantici di maggiore entità concernano, in questo campo, la guerra e la rivoluzione. Così come è degno di nota che, considerata insieme alle voci correlate (marxismo, materialismo storico e Prefazione del '59), quella su Marx sia di gran lunga la voce più ampia tra quelle dedicate a nomi di persona. Il plesso concettuale più esteso attiene all'americanismo, direttamente tematizzato anche nelle voci americanismo e fordismo, fordismo e taylorismo. Segue a ruota filosofia, con i corollari filosofia classica tedesca, filosofia della praxis e filosofia speculativa.
Inutile pedanteria
Un particolare merito è l'aver focalizzato alcune espressioni tipiche della lingua di Gramsci (tra cui concio della storia, molecolare, ritmo del pensiero) che di rado hanno riscosso l'attenzione che meritano. Se vogliamo individuare, per contro, un difetto, si può forse lamentare (oltre all'assenza di voci che ci si sarebbe aspettate, come civiltà, Mussolini, Napoleone III e, soprattutto, rivoluzione russa) un certo feticismo terminologico, per cui non si trova la voce sovrastruttura, ma superstruttura, né la voce planismo o piano (economia di), bensì economia programmatica, col rischio di disorientare quel «lettore comune» al quale, pure, l'opera si rivolge. Ma insomma, si tratta del classico pelo nell'uovo, che Gramsci bollerebbe come «pedanteria». Non è questo l'importante, bensì l'avere finalmente a disposizione un lessico gramsciano affidabile e pressoché completo. Per il poco che manca (e in attesa che l'informatizzazione dei testi precarcerari permetta il completamento dell'opera), aspetteremo la seconda edizione.
«In linea generalissima, l’americanismo rappresenta nei Quaderni la dimen sione ideologica-culturale o anche etico-politica assunta dal modo di produzione capitalistico nell’epoca a Gramsci contemporanea, mentre il fordismo ne costituisce la dimensione tecnico-produttiva». Così Giorgio Baratta, nella voce «Americanismo» indica uno dei concetti cardine della riflessione di Antonio Gramsci, il cui significato viene ricostruito con estremo rigore filologico in un volume edito da Carocci, Dizionario gramsciano 1926-1937, a cura di Guido Liguori e Pasquale Voza (pagg. 918, euro 85,00). Baratta, uno dei fondatori dell’International Gramsci Society (IGS) scomparso poco più di un mese fa, è uno degli ideatori del Dizionario che contiene ben 629 lemmi consentendo una lettura originale di uno degli autori italiani più letti al mondo, dall’America Latina all’Australia, dagli Stati Uniti al Giappone e all’India, dove viene considerato il massimo studioso della filosofia della prassi e della emancipazione delle classi subalterne. Il Dizionario nasce dall’esigenza di avvicinare a un pubblico più vasto l’opera gramsciana, «tanto complessa quanto non sistematica», salvaguardando al contempo l’autenticità dei testi. Tra gli innumerevoli lemmi che affollano il dizionario gramsciano si evidenzia quello di «nazional popolare», dove l’abbinamento tra i due aggettivi indica la polemica condotta da Gramsci contro l’uso retorico dei concetti di «nazione» e di «popolo». Nei Quaderni del carcere si avanza la tesi che «in Italia il termine nazionale ha un significato molto ristretto ideologicamente ed in ogni caso non coincide con "popolare", poiché gli intellettuali sono lontani dal popolo, cioè dalla nazione e sono invece legati ad una tradizione di casta...». Un analogo concetto si ritrova in un altro lemma, «cultura popolare», utilizzato anche come sinonimo di «cultura nazionale». Ma è la voce «folklore» che esprime tutta la valenza della elaborazione teorico-filosofica del pensatore sardo che sostiene la necessità di studiare tale fenomeno non come elemento «pittoresco», ma come «concezione del mondo e della vita di determinati strati della società, non toccati dalle correnti moderne di pensiero». Attraverso questa inconsueta ma valida operazione culturale, alla quale hanno partecipato più di sessanta studiosi italiani e stranieri, tra cui diversi docenti dell’Ateneo barese che fanno parte del Centro interuniversitario di ricerca per gli studi gramsciani, è possibile avvicinarsi al lessico gramsciano e comprenderne i molteplici significati. Nella voce «Liberali liberalismo» si riassumono infatti i fenomeni ideologici più significativi della società borghese e si evidenzia l’attenzione prestata dal pensatore sardo alla storia italiana ed alle più significative personalità della cultura (Benedetto Croce e Giustino Fortunato) e della vita politica (Giolitti, Salandra, Nitti). Egli affermava, «in realtà, il modo d’essere del Partito liberale in Italia dopo il 1876 fu quello di presentarsi al paese come un ordine sparso di frazioni e di gruppi regionali. Erano frazioni del liberalismo politico tanto il cattolicesimo liberale dei popolari, come il nazionalismo, tanto le unioni monarchiche come il partito repubblicano e gran parte del socialismo, tanto i radicali democratici come i conservatori». Nel lemmi «Risorgimento» e «Rivoluzione passiva» sono condensate le valutazioni critiche ai moderati e al Partito d’Azione, d’ispirazione mazziniana, che non furono in grado di imprimere al moto risorgimentale «un carattere più marcatamente popolare e democratico», per il mancato coinvolgimento delle masse contadine. Anche il termine «Democrazia» rende conto dell’evoluzione del pensiero di Gramsci, consapevole delle insufficienze della democrazia parlamentare di fine Ottocento e dell’abuso della «sovranità popolare» per i condizionamenti subiti dall’opinione pubblica attraverso «i persuasori occulti» del suo tempo (radio e stampa). L’approfondimento del pensiero poli tico e della tradizione civile italiana è condensata nelle voci relative a «Guicciardini Francesco» e «Machiavelli Niccolò» che Gramsci ha il merito di contestualizzare, fornendo chiavi interpretative avanzate e moderne. Mentre con la voce «Filosofia della prassi» che compare nei Quaderni del carcere all’interno di una lunga nota su Machiavelli, Gramsci esprime il «rapporto tra la volontà umana (superstruttura) e la struttura economica», esprimendo la sua avversione alle posizioni deterministiche diffuse anche all’interno del marxismo, per cui la «praxis» riafferma come volontà generale di trasformazione della natura e della storia. Nella dura condizione carceraria Antonio Gramsci riflette sul fallimento della rivoluzione in Occidente e s’impegna in una vasta opera di ripensamento delle esperienze vissute e di analisi critica della storia nazionale, formulando come sostengono gli autori del Dizionario, un vero e proprio lessico per esprimere una visione teorico-politica originalissima ed un intero mondo di concetti che segneranno diversi campi del sapere.
Un dizionario è un dizionario. Non è un libro come tutti gli altri, non si legge dall'inizio alla fine lungo un'unica direzione. Un dizionario è una raccolta di parole, ciascuna definita per mezzo di altre parole che a loro volta sono definite per mezzo di altre parole ancora e così via praticamente all'infinito, attraverso sequenze e combinazioni imprevedibili. Finora, però, non s'era mai visto un dizionario che servisse a leggere un altro libro, eccezion fatta per la "Divina Commedia" dantesca o la "Scienza della logica" di Hegel e qualche altro raro caso. Il "Dizionario gramsciano 1926-1937" a cura di Guido Liguori e Pasquale Voza (edizione Carocci, pp. 918, euro 85) - presentato l'altro ieri a Roma con Maria Luisa Boccia, Alberto Burgio, Giuseppe Vacca, Tullio De Mauro e i curatori - «si pone l'obiettivo di ricostruire e presentare al lettore - in termini il più possibile accessibili - il significato dei lemmi, delle espressioni, dei concetti gramsciani, limitatamente al periodo della riflessione carceraria consegnata ai "Quaderni del carcere" e alle "Lettere dal carcere"». Quasi mille pagine, oltre seicento voci, dalle più famose invenzioni linguistiche di Gramsci a quelle meno note. Un'opera pregevole che porta a compimento un lavoro iniziato dall'Igs, ormai una decina d'anni fa, con i seminari sul lessico gramsciano e che porta l'impronta di Giorgio Baratta, scomparso pochi mesi fa, tra i principali promotori dell'impresa. Cos'è dunque il "Dizionario gramsciano"? Uno strumento, innanzitutto, un sostegno per il lettore nella comprensione del testo gramsciano, a volte ostico, difficile da digerire per i suoi salti, per le ambiguità, per il progressivo cambiare di significato delle parole cruciali nel tempo, talvolta per vere e proprie incongruenze. Il fatto stesso che una quantità sterminata di interpreti si siano cimentati con i "Quaderni" e abbiano prodotto una letteratura sconfinata è tutt'altro che una facilitazione per il povero lettore. Anzi, in molti casi, le interpretazioni del testo gramsciano che nel tempo si sono sedimentate risultano fuorvianti anziché d'aiuto. Se non bastasse, ci è messa anche la cultura del postmoderno a complicare la faccenda. Gli studi su Gramsci, da un decennio almeno a questa parte, sono rivelatori di un'inclinazione eccessiva al frammento. È diventata quasi opinione corrente considerare i "Quaderni" un'opera priva di trama unitaria, una sorta di collage di frammenti dai quali, come in un «supermarket» - per riprendere un'espressione di Burgio - ognuno si sente in diritto di prendere quel che vuole e costruirsi un'ipotesi interpretativa a propria misura, senza il necessario rigore filologico. Il dizionario, a differenza del saggio, è lo strumento più prossimo all'obiettivo, dichiarato dai curatori, di un «ritorno al testo». «In riferimento alla tensione fra un pensiero coerente e la sua esposizione frammentata, il nostro tentativo - scrivono Voza e Liguori - è stato quello di praticare e di suggerire un'attenzione al testo che non sempre è dato ritrovare nella critica. Crediamo infatti che un uso attento dei testi porti anche a una migliore approssimazione interpretativa, mentre un loro uso troppo disinvolto allontani dalla comprensione effettiva anche dello "spirito"». Ma, a volersi spingere un po' oltre, il "Dizionario" non è solo uno strumento esterno al testo, ma ci aiuta anche a capire - come in uno specchio - la "forma " stessa dei "Quaderni", la morfologia di un'opera costruita secondo il modello di un reticolo di categorie, dove ognuna di esse, da quelle più note tipo "egemonia", "americanismo" e "cesarismo" a quelle più inusuali, del genere "oppio", "dumping" e "mosca cocchiera", si definisce in connessione con le altre. E dove la minima variazione di significato all'interno di una categoria è destinata a produrre effetti in tutte le altre categorie confinanti, costringendo l'intero sistema ad assestarsi. E qui cominciano i problemi. Perché al "Dizionario" non si può chiedere il miracolo di semplificare o ingabbiare «quella che è stata chiamata la strategia del pensiero e della scrittura di Gramsci - scrivono ancora Voza e Liguori - e con il carattere intrinsecamente mobile, aperto, antidogmatico che essa comporta». A noi lettori contemporanei la questione si pone di nuovo: quale Gramsci? Quello classico della rivoluzione e della lotta di classe - si chiede Tullio De Mauro - oppure il Gramsci ridisegnato in chiave culturalista soprattutto in questi ultimi decenni? Il Gramsci che pone l'accento sul primato della politica (la prassi) oppure il Gramsci che affida al terreno decisivo della cultura la regolazione dello scontro tra gruppi sociali? «La centralità gramsciana della cultura nella politica - sostiene ad esempio Maria Luisa Boccia - è andata dispersa, tutt'al più oggi si parla di competenze e di think thank che devono affiancare i politici. Oggi si parla spesso della perdita di egemonia da parte della sinistra, ma senza mai rimettere al centro della nostra attenzione il rapporto tra cultura e politica. Non a caso, per Gramsci il marxismo ha da essere una visione totale del mondo, costruzione di una forma di civiltà integrale». Ma quali sono le « quistioni » più presenti, le voci più ricorrenti nel "Dizionario", per qualità e quantità? Non c'è quasi storia. A mettere assieme i lemmi che riguardano Marx, il marxismo, il materialismo e la marxiana "Prefazione" del '59 non c'è dubbio che il nucleo teorico dei "Quaderni" sia questo, seguito a breve da un complesso di voci sulla filosofia classica tedesca e sulla filosofia della praxis. E poi ci sono le categorie mobilitate da Gramsci per la lettura del suo presente, in un continuo gioco di rimandi e analogie con la storia passata: americanismo, fordismo, taylorismo, lotta di classe, guerra. Motivo per cui - stando alle argomentazioni di Burgio - si potrebbe pensare ai "Quaderni" come al laboratorio del primato della politica. «È un'immagine classica di Gramsci quella che ci viene consegnata qui, cioè di un filosofo della rivoluzione in Occidente che pensa a partire da Marx e dalla filosofia classica tedesca in un'epoca di guerra, di lotta di classe e di crisi, in presenza di un tentativo di stabilizzazione capitalistica in America». Ma soprattutto, come dimostra il lemma su "rapporti di forza", ad emergere è «l'idea che la politica è ovunque, nei conflitti sociali, nella società civile, nelle istituzioni nazionali come in quelle internazionali». Il discorso si complica enormemente quando ai "Quaderni" si pongono domande che riflettono gli assilli di noi lettori contemporanei, magari per rintracciare in Gramsci teorizzazioni ante litteram di posizioni culturali che appartengono al nostro tempo. Ci si addentra in un gioco mobile dentro e fuori il testo quando, ad esempio, si ravvisa nel testo gramsciano l'esistenza di una vera e propria quistione sessuale, definita non nei termini di una semplice «lotta per l'emancipazione giuridica delle donne», bensì come una dimensione centrale per la politica e la rivoluzione. Oppure, quando - per seguire il ragionamento di De Mauro - si cerca nei "Quaderni" - inutilmente - una critica alla scienza e all'idea del soggiogamento infinito della natura all'uomo. Di sicuro è un Gramsci in stile liberaldemocratico quello ricostruito polemicamente da Giorgio Vacca: un Gramsci che inizierebbe a sbarazzarsi delle categorie marxiste tradizionali, prima fra tutte quella di struttura-sovrastruttura, per poi sostituire il termine «classe» col più pluralistico «gruppi sociali», «materialismo» con «filosofia della praxis», mentre il partito retrocederebbe sullo sfondo di una più generale volontà collettiva. Per finire con un'idea di «egemonia» non solo rivisitata ma ormai contrapposta all'egemonia leninista. Fin dove può spingersi l'interpretazione - e la sua innegabile libertà - e dove comincia invece il limite invalicabile del testo? «I "Quaderni" - per dirla con le parole di Liguori - sono un'opera particolare, che è stata pubblicata non dal suo autore, frammentata, piena di ambiguità che possono anche risultare fuorvianti. Un work in progress». Ma questo non significa «poter fare dire a Gramsci quel che non ha detto e fargli carico di ipotesi che non potevano stare nella testa di un uomo del suo tempo. Non si possono sfruttare le sue afasie per proiettare tutto il nostro presente nella sua opera».