Con la terza edizione (la prima è del 1995), questo studio, ormai ritenuto un testo di riferimento imprescindibile, sviluppa e articola una tesi che l'Autore aveva enunciato in vari saggi: la pertinenza del concetto di totalitarismo al regime fascista in Italia. Il tema rientra in una discussione antica che ha diviso gli studiosi; si può dire che molti tra gli storici siano inclini a considerare il regime fascista come "tendenzialmente? o compiutamente totalitario, mentre, tra sociologi e politologi, molti sono portati a escludere che il fascismo italiano possa rientrare nella categoria del totalitarismo. Le ragioni della divisione sono lunghe e complesse e non possiamo qui riassumerle. Diremo solo che se, da un lato, un saggio di Jan Petersen del 1975 dimostra che le parole "totalitario" e "totalitarismo" sono nate in Italia nel 1923-25 (dapprima usate in modo polemico da alcuni antifascisti, poi dallo stesso Mussolini a connotare le caratteristichedel regime che stava edificando), dall'altro,un testo che ebbe grande ruolo ai fini della ricostruzione dell'identità occidentale dopo le devastazioni degli anni Trenta e Quaranta come Le origini del totalitarismo (1951) di Hannah Arendt escludeva che per il fascismo italiano si potesse parlare di totalitarismo, riservando quell'espressione al regime hitleriano e all'unione Sovietica del tempo di Stalin. Ora, a completamento di una traiettoria di ricerca, in uno dei capitoli della nuova edizione, è proprio contro queste affermazioni della Arendt che Gentile indirizza la critica argomentando - in modo convincente - sia sulla radicale incomprensione del fascismo italiano da parte della studiosa (anche per l'ignoranza o la sottovalutazione di studi che avrebbero dovuto suggerirle altre valutazioni), sia sull'indeterminatezza e sull'autocontraddittorietà rinvenibili nella sua opera proprio al fine di una definizione di totalitarismo. Da qui discendono anche varie considerazioni sulle ricadute che il pensiero della Arendt ha avuto su storici come Alberto Aquarone e Renzo De Felice. Il tema, ancorché non nuovo, è qui affrontato con una determinazione e una sistematicità sinora inusitate. Ciò naturalmente non chiude la discussione, ma apre la strada a un approfondimento delle diverse modalità assunte dal totalitarismo, sia nel caso si intenda limitarne lo studio a quella che Ernst Nolte ha chiamato la «guerra civile europea», sia qualora lo si voglia assumere come chiave interpretativa di una più ampia Serie di fenomeni, variamente diffusi nello spazio e nel tempo (operazione che richiederebbe comunque cautela). Per altri versi, vanno poi rimarcate come novità, di questa edizione le amare pagine finali, chehanno forse un intento più civile che storiogra-fico, su quella che l'autore definisce la «defascistizzazione retroattiva del fascismo», cioè quella perdurante tendenza della cultura a ignorare la centralità e il peso delle radici e delle discendenze del fascismo nella storia del Paese. In definitiva, il saggio di Gentile ci pare importante innanzitutto perché affronta il problema "semantico" legato all'uso del termine totalitarismo (per non litigare sulle parole, è opportuno che esse mantengano un significato per quanto possibile stabile) ma anche perché contribuisce a togliere alibi al mediocre revisionismo nostrano.
Pubblicato per la prima volta nel 1995, il volume ebbe una ristampa dopo pochi mesi e una seconda edizione nel 2001 con un aggiornamento bibliografico sui nuovi studi editi nel frattempo sul partito e sullo Stato fascista. L'interesse per la ricerca portata avanti dall' Autore, la sua utilità e l'influenza avuta nel dibattito storiografico sono dimostrati dalle traduzioni dell'opera in francese, spagnolo e inglese. Non è qui il luogo per ricordare le molteplici e innovative opere del Gentile sul Fascismo, ma è certamente da sottolineare l'importanza di questo volume che viene presentato in una terza edizione, nella quale, restando immutate la prima parte (La natura e la storia del partito fascista nelle interpretazioni dei contemporanei e degli storici), che è un'ampia rassegna storiografica degli studi e delle interpretazioni del fascismo come partito e come regime dalla metà degli anni '20 alla metà degli anni '90 del Novecento, e la seconda parte (Il cesarismo totalitario), che riguarda la storia del partito e il ruolo che esso ha avuto come artefice e protagonista dell'esperimento totalitario, sono del tutto nuove la Presentazione (pp. 11 -24), che offre la chiave di lettura di questa nuova edizione, e la terza parte: Fra teoria e storia (pp.297-354), che in tre capitoli presenta una rassegna critica delle principali reazioni suscitate dal volume (Fascismo e totalitarismo. La polemica e la ricerca); una valutazione critica del giudizio di Hannah Arendt sul fascismo e sul totalitarismo ( I silenzi di Hannah Arendt. Il fascismo e Le origini del totalitarismo), mediante un'attenta ricognizione dell'origine del giudizio della studiosa sul totalitarismo e della letteratura già esistente all'epoca ma, purtroppo, non presa in esame dalla Arendt; e, infine, alcune considerazioni sull'eredità del fascismo dopo la sua fine con l'intento di sollecitare nuove ricerche e riflessioni (L'eredità della via italiana al totalitarismo. Alcune considerazioni). Con totalitarismo il prof. Gentile intende definire: «Un esperimento di dominio politico, messo in atto da un movimento rivoluzionario, organizzato in un partito rigidamente disciplinato, con una concezione integralista della politica, che aspira al monopolio del potere e che, dopo averlo conquistato, per vie legali o extralegali, distrugge o trasforma il regime preesistente e costruisce uno Stato nuovo, fondato sul regime a partito unico, con l'obiettivo principale di realizzare la conquista della società, cioè la subordinazione, l'integrazione e l'omogeneizzazione dei governati, sulla base del principio della politicità integrale dell'esistenza, sia individuale che collettiva, interpretata secondo le categorie, i miti e i valori di un'ideologia palingenetica, sacralizzata nella forma di una religione politica, con il proposito di plasmare l'individuo e le masse attraverso una rivoluzione antropologica, per rigenerare l'essere umano e creare un uomo nuovo, dedito anima e corpo alla realizzazione
dei progetti rivoluzionari e imperialisti del partito totalitario, con lo scopo di creare una nuova civiltà a carattere sopranazionale» (p. 18). Con la deliberata lunghezza della definizione, l'Autore intende: «Sottolineare l'interconnessione fra tutti gli elementi che compongono il concetto di totalitarismo, come parti essenziali della realtà storica degli esperimenti totalitari messi in atto nel corso del XX secolo. Questa realtà non può essere teoricamente identificata con nessuno dei suoi elementi costitutivi separato dagli altri» (ibidem). Pertanto, l'interpretazione del totalitarismo proposta dal Gentile, considerato come un esperimento continuo di dominio politico, si differenzia da tutte le altre teorie che si fondano, invece, sulla nozione istituzionale di «regime totalitario». In relazione alla definizione di totalitarismo, l'Autore sostiene che: «Il sistema politico totalitario funziona come un laboratorio dove si sperimenta una rivoluzione antropologica per la creazione di un nuovo tipo di essere umano. Ciò che caratterizza il totalitarismo, secondo questa definizione, è il suo intrinseco dinamismo, che si esprime nell'esigenza di una rivoluzione permanente, nella necessità di una continua espansione del potere politico e di una costante intensificazione del controllo e dell'intervento sulla società, per subordinarla al partito unico, attraverso una rete sempre più estesa e capillare di organizzazioni» (p. 19). Per quest'ultimo aspetto è particolarmente significativa la seconda parte del volume ove, tra l'altro, viene delineata l'importanza del «Grande pedagogo» alla cui scuola tutto il popolo dei tesserati doveva sottostare e in particolare le nuove generazioni, che gradualmente furono racchiuse in un'organizzazione capillare, con la finalità di creare «l'uomo nuovo». Un processo che non fu esente da tensioni più o meno profonde d'interno dello stesso partito e dei suoi dirigenti. Tensioni, resistenze e conflitti, peraltro, attraversarono tutta la storia dell'esperimento totalitario fascista. Se il totalitarismo è un «esperimento», più che un «regime», occorre sottolineare le interconnessioni dei suoi diversi elementi costitutivi e il suo carattere dinamico come un «processo continuo», che non può essere considerato compiuto in nessun particolare stadio della sua attuazione. «In questo senso, il totalitarismo del bolscevismo, del fascismo e del nazionalsocialismo non designa un progetto comune, o una meta comune - il regime totalitario - verso la quale erano diretti i tre partiti per raggiungere ciascuno la sua specifica meta, definita dai loro rispettivi orientamenti culturali, ideologici e sociali. Il metodo comune non implica una meta comune: le affinità fra gli esperimenti totalitari non implicano la loro assimilazione in un identico fenomeno» (pp. 19-20). In definitiva, per l'Autore, la categoria «totalitarismo» è uno strumento analitico valido per lo studio del fascismo e degli altri esperimenti di dominio a partito unico messi in atto nel Novecento. Il volume del Gentile, oltre che per il dibattito storiografico da tenere aperto tra gli studiosi per ulteriori e nuove ricerche sul fascismo, sul bolscevismo e il nazionalsocialismo da effettuare con la mente sgombra da ideologie e libera da richiami ad «autorità», va segnalato, in particolare, per il rigoroso metodo storiografico adoperato, per l'autonomia di giudizio fondata su documenti e la disamina della storiografia esistente e per gli esiti prodotti, ai giovani ricercatori.