Tu eri la mamma, io ero il papà. L'istintivo uso dell'imperfetto per indicare una narratività fondata sull'imitazione è dopo tanti studi quasi scontata, anche se non manca di intenerire quando ancora i bimbi del terzo millennio con così faciel istinto operano la mimesis mutando il tempo dei verbi. Tu eri la strega, io ero Biancaneve. «L'imitare, infatti, è connaturato agli esseri umani fin dall'infanzia», perché «sono i più inclini all’imitazione e attraverso l’imitazione si procurano le prime conoscenze» e perché provano «piacere» nell'imitare. Così Aristotele nelle prime pagine della Poetica, di quel breve trattato - pure incompiuto - che ha segnato le modalità di studio dell'arte per secoli. Ne è una prova il recente lavoro di Daniele Guastini, un'edizione condotta sul classico testo critico di Kassel tenendo però in gran conto gli scostamenti di Dupont-Roc e Lallot nell'edizione del 1980. Curioso l'andamento del lavoro di Guastini: cauto nell'introduzione, quasi pessimista, le fonti a cui ha attinto Aristotele sono da secoli prosciugate, e le sue ragioni da tempo non ci parlano più. Hegel ha saputo restituire per un'ultima volta l'arte al concreto dispiegarsi storico dello spirito e della verità, e ora l'arte se pur non morta, sopravvive separata dalla vita, musealizzata. Così nel presentare l'opera. Poi il testo, la traduzione precisa e attenta. Poi un commentario che è un omaggio senza ritegno a un testo che spiacerebbe vedere racchiuso in una teca da museo. Un godimento per lo spirito - no, l'anima, la mente, insomma Hegel non è necessario - indagare sulle fonti della magica catarsi che tanto interessa gli studiosi di cinema e televisione, su quelle mitiche unità di tempo, spazio e azione che lo scienziato Aristotele si limitava a censire; e poi divennero regole per secoli di stolta cultura moderna. Su quell'Omero che, chiunque fosse o fossero, «ha insegnato agli altri a dire cose false come si deve». Non bugie, meravigliosi inganni in cui per il piacere di tutti io ero la strega, tu eri l'eroe.