Webinar Faber
Breve storia dello Stato d'Israele
1948-2008
Edizione: 2008
Ristampa: 3^, 2010
Collana: Quality paperbacks
ISBN: 9788843044849
- Pagine: 168
- Prezzo:€ 13,97
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Il 1948 e la nascita dello Stato di Israele, la Guerra di indipendenza del 1948-49, l’economia del nuovo Stato, la crisi di Suez, la Guerra del Yom Kippur, la guerra in Libano, l’assassinio di Yitzhak Rabin. Questo e molti altri sono gli argomenti esaminati nel nuovo libro di Claudio Vercelli, ricercatore di Storia contemporanea all’Istituto di Studi storici Salvemini di Torino dove coordina il progetto didattico Usi della storia, usi della memoria e autore di numerosi volumi fra cui Tanti Olocausti. La deportazione e l’internamento nei campi nazisti (Firenze, 2005), Israele e Palestina: una terra per due (Torino, 2005), Il conflitto israelo-palestinese tra passato e presente (Vercelli, 2006), Israele, Storia dello Stato, 1881-2008 (Firenze, 2008) e ora questo saggio, Breve storia dello Stato d’Israele, edito da Carocci di Roma. Il libro, lungi dall’essere una esposizione superficiale, esamina i fatti che si sono snodati lungo un cinquantennio di storia, cercando di comprendere le dinamiche politiche, sociali, economiche e culturali che sono parte attiva dell’evoluzione del Medio Oriente.
Questo libro nasce da un’esigenza specifica. Un testo per l’Università di oggi deve rispondere a dei precisi parametri: in primo luogo è legato a delle dimensioni di grandezza numerica, perché la riforma fa sì che non si debbano presentare manuali troppo lunghi. In secondo luogo, ci si è resi conto che mancava un libro per gli studenti che non fosse un volume di opinioni, ossia idee di alcuni presentate come fatti certi. C’era qualche volume in circolazione, ma non recente. Si trattava di un vuoto non casuale perché discutere di Israele è molto difficile. Difficile tanto più farlo all’Università, dove a volte anche le persone più moderate esprimono pregiudizi forti. Ci voleva un testo che parlasse ad un’ampia platea e che riuscisse a spiegare la Storia di Israele come soggetto storico, senza ricondurla solamente al conflitto israelo-palestinese, partendo però dai concreti eventi.
Quale è stata la difficoltà più grande che hai incontrato nello scriverlo?
Cercare di collegare la storia di Israele e dell’Yishuv a una storia più ampia, quella europea. Israele non nasce per caso perché è anche il prodotto di alcune trasformazioni europee. Gli ebrei giunti in Palestina attraverso le Alyot sono infatti portatori di precise idee che rimandano innanzitutto al nazionalismo di matrice risorgimentale, ma anche a un liberalismo avanzato, che persegue diritti politici e civili oltre che a un socialismo inteso nel senso più ampio di giustizia sociale.
Se si leggono le biografie dei padri fondatori ci si rende conto che sono tutti depositari di idee politiche molto nette e di una immagine di società da costruire non meno chiara. Il loro pensiero è contraddistinto dal confronto dialettico con la modernità. Alle loro spalle ci sono modelli di società di massa, come quello americano, che va progressivamente affermandosi oltre i suoi confini geografici, ma anche e soprattutto le suggestioni dell’esperienza sovietica. Alla base di tutto c’è però l’idea di trasformare l’ebreo in un «uomo nuovo», la cui identità sarebbe stata forgiata dal lavoro e dalla socialità. Lo Stato d’Israele nasce da questo percorso culturale e morale, oltre che politico. Il mio sforzo è stato quindi quello di ragionare su di un contesto tumultuoso, per capire veramente da quali soggetti era composto. Se nel 1948 Israele nasce è perché c’era già stata, nei decenni trascorsi, l’esperienza dell’Yishuv, che aveva posto le basi del nuovo Stato.
Pensi che sia attualmente percorribile l’idea di due popoli due Stati?
Sarebbe auspicabile, ma temo che oggi non sia materialmente fattibile. Vedo sul versante palestinese una fragilità politica che impedisce di individuare il soggetto con cui interloquire. Qual è la loro vera leadership? Chi governa cosa? Nello scenario internazionale i palestinesi sono visti come le vittime per eccellenza. È questo però un terreno pericoloso, poiché una vita degna d’essere tale implica che ci si rimbocchi le maniche, non si viva di condiscendenza e di fatalismo. Il rischio, altrimenti, è di rimanere al palo. Se poi guardo a Gaza, laddove maggiori sono le ingiustizie, a me sembra che ci sia anche una disposizione d’animo da parte della popolazione a farsi manipolare. Ritengo quindi che oggi manchino a Gerusalemme degli interlocutori validi. Non da ultimo, c’è un interesse da parte dei paesi arabi ad alimentare il conflitto, scaricando tutte le incongruenze e le inadempienze su Israele che diventa capro espiatorio delle altrui responsabilità.
Cosa vedi nel futuro di Israele?
Nell’immediato vi è il problema del nucleare iraniano. Non si tratta solo di una questione militare ma anche politica. Ma la vera scommessa del futuro è quella che gli arabi chiamano la «guerra delle culle». La sopravvivenza israeliana è legata alla demografia. Sergio Della Pergola calcola che se non ci fosse stata la Shoah ora gli ebrei sarebbero 32 milioni mentre invece assommano a circa 13 milioni. Il problema della continuità di Israele è ancora più pressante per la triste impressione che entro venti anni la popolazione araba, che vive in Israele e nei Territori palestinesi, potrebbe superare quella ebraica. La «israelianità», l’essere cittadini di quel paese, peraltro, è un coacervo di molti elementi. Israele stesso è il prodotto di una miriade di storie diverse. Riuscirà a confrontarsi con i processi di globalizzazione? Come vedi non offro delle risposte ma pongo altri quesiti. Le oligarchie arabe dei paesi circostanti, infine, sono in difficoltà. Per Israele intravedo all’orizzonte dei grossi punti interrogativi ma forse troverà elementi e forze per ridefinire la propria identità, a partire dall’alto livello di scolarizzazione della sua popolazione, proiettata com’è verso il mondo. Fra gli interlocutori possibili vi sono India e Cina. Insomma, ancora una volta la sua forza sta nel futuro poiché il sionismo non si è mai proiettato all’indietro ma sempre in avanti.