Presentazione di E. F.
Abstract
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Le interpretazioni Fame di sapere di Francesco Remotti
(pagine: 15-29)
DOI: 10.7377/70431
Abstract Il saggio di Remotti, sollecitato a definire la “fame di sapere”, componente necessaria della definizione dell’uomo per Aristotele, ne definisce una versione contemporanea a partire da La Pensée sauvage di Claude Lévi Strauss che, avvalendosi dell’accumulo di diverse ricerche etnografiche, ha affermato l’esistenza di una «brama di conoscenza oggettiva» anche nelle società di solito considerate primitive. Mentre Malinowski riteneva che gli interessi botanici e zoologici delle società studiate dagli antropologi fossero ispirati «soltanto dai brontolii dello stomaco», Lévi-Strauss invece giungeva a concludere che «un sapere sviluppatosi in modo così sistematico non può essere in funzione della sola utilità pratica». Remotti conferma la propria distanza da Malinowski che riteneva che l’uomo potesse essere esclusivamente sapiens, perché la sua cultura non può non incorporare conoscenza, e non una conoscenza qualsiasi, bensì una conoscenza scientifica. Gli spunti forniti da Lévi-Strauss invece lo inducono ad abbracciare la prospettiva elaborata da Geertz, quella che lui stesso chiama «antropo-poiesi»; dove l’homo sapiens ha necessità in primo luogo di simboli con cui dare senso e forma a se stesso. Da indigens a sapiens, dall’incompletezza alla completezza: la fame di sapere risulta appagata, sia pure, per buona parte dell’antropologia filosofica del Novecento e per lo stesso Remotti – con forme di umanità particolari. Alla conclusione del suo saggio, Remotti spiega però che, dopo la morte dei maestri del Novecento, anche il cibo del sapere è stato inquinato e corrotto
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Per una critica del produttivismo alimentare di Giuliano Battiston
(pagine: 31-47)
DOI: 10.7377/70432
Abstract L'autore esamina le due opposte concezioni della FAO emerse al momento della sua fondazione: «dotare la comunità internazionale di una fonte di conoscenza e informazioni tecniche; oppure, formare con la FAO uno strumento efficace per liberare il mondo dallo spettro della fame e del sottosviluppo rurale; contribuire all’instaurazione di un equilibrio internazionale più giusto». Purtroppo egli registra l’avvenuto sopravvento di una «patologia delle soluzioni», cioè della tendenza a proporre, per problemi politici e sociali, soluzioni tecniche, spesso più deleterie del male che pretendevano di curare. Il ricorso sempre crescente a input esterni: sementi, concimi, antiparassitari, mangimi, macchine, elettricità, carburante, ha svincolato l’agricoltura industriale dalle condizioni ambientali, dai cicli di maturazione e dalle biodiversità locali. La modernizzazione dell’agricoltura può creare nuove attività e nuova occupazione, ma anche produrre esclusione dalla terra, dal lavoro, dalla paga, dal reddito, dalla vita e dalla cittadinanza. «Se una persona arriva al punto di non aver nulla da mangiare, è perché tutto il resto le è stato negato. È una forma moderna di esilio. Di morte durante la vita». Battiston conclude, in alternativa, additando la lotta per la sovranità alimentare come organismo dei veri produttori, che sia capace di opporsi al mimetismo socioindustriale, che riflette la stessa patologia dell’industrialismo, cioè la dipendenza da materie prime finite.
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Malnutrizione e spreco alimentare: dai paradossi ai nuovi paradigmi per un mondo sostenibile di Andrea Segrè
(pagine: 49-64)
DOI: 10.7377/70433
Abstract Andrea Segrè, nin questo saggio riferito alla antropologia e all’economia dell’alimentazione, osserva che se siamo, come Feuerbach affermava, ciò che mangiamo (e beviamo), siamo anche diventati, oggi, ciò che non mangiamo e non beviamo. Malgrado la virtuale sufficienza alimentare globale, c’è chi mangia troppo poco, chi non mangia per nulla, e chi mangia troppo e male: la popolazione obesa è in continua crescita, anche tra le fasce di reddito più povere, a detrimento della salute e a causa del pessimo cibo industriale prodotto, reclamizzato e facilmente disponibile. C’è poi il problema dello spreco alimentare: un «surplus superfluo» secondo Segrè, che sarebbe 22 volte superiore a quello necessario per alleviare la fame delle popolazioni malnutrite del pianeta; che basterebbe per alimentare ogni anno 3 miliardi di individui, perché «scarsità e abbondanza, fame e sazietà, produzione e consumo, pur scontrandosi, non si incontrano: sono i rovesci della stessa medaglia».
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Nuove voci, valori e alleanze in un’età di scarsità e incertezza di Nora McKeon
(pagine: 65-73)
DOI: 10.7377/70434
Abstract Nora McKeon considera che oggi l’accesso al cibo per tutti, la nocività possibile delle colture agricole, il land grabbing (incetta di terreni da parte di imprese multinazionali) siano problemi da considerare egualmente importanti: ma che i diretti interessati – che oggi sappiamo meglio identificare – possono lottare per ottenere le tutele giuste: sovranità alimentare significa proprio questo. Ad esempio, il fatto conclamato che in maggioranza gli affamati sono contadini poveri ha smentito la falsa dicotomia tra gli interessi dei “produttori” e quelli dei “consumatori”, in nome della quale le politiche di distribuzione di cibo nei centri urbani (a favore dei poveri delle città) hanno rappresentato un danno ai contadini, dovuto al mancato sostegno dei prezzi dei loro prodotti. Nelle mobilitazioni per il diritto al cibo, per la sovranità alimentare, per l’agro-ecologia, contro la speculazione sui prezzi agricoli, nuovi soggetti della società civile sono entrati sulla scena della governance mondiale per la prima volta: in particolare i movimenti rurali che sono emersi, soprattutto nel Sud del mondo, in reazione ai disastrosi effetti delle politiche neoliberiste sulla produzione agricola e sui redditi dei contadini
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Le storie, i luoghi Velikij golod, la grande carestia del 1932-33 in Unione Sovietica di Alexis Berelowitch
(pagine: 75-99)
DOI: 10.7377/70435
Abstract Il saggio di Alexis Berelovitch documenta le vicende dalla grande carestia dell’Ucraina nei primi anni Trenta nell’Unione Sovietica. Dopo la sconfitta della corrente di Bucharin nell’ambito del gruppo dirigente bolscevico, con la vittoria di Stalin fu liquidata l’ipotesi di un’integrazione progressiva dei contadini nell’economia attraverso l’incremento degli scambi, e l’offerta di manufatti industriali a buon prezzo. Prevalse invece la linea dei fautori (come Preobrajenskij) di un’industrializzazione rapida a scapito delle campagne, attraverso un prelievo forzato di prodotti agricoli da esportare o da trasferire direttamente alla nascente industria. L’idea dominante era che l’agricoltura dovesse seguire il modello dell’impresa industriale – andando contro la (presunta) mentalità arretrata e barbara dei contadini, mai ascoltati, mal conosciuti e duramente disprezzati dalla nuova dirigenza politica.
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I nazisti e la morte per fame di Enzo Collotti
(pagine: 101-110)
DOI: 10.7377/70436
Abstract L’autore in questo articolo, fornisce dati sulla fame come arma politica “normale” di gestione del regime nazista, in seguito alla conquista della maggior parte dei territori dell’Europa dell’Est, come controllo di uno «spazio vitale» prima, e come arma di morte, deliberata e pianificata, poi; questi dati consentono di completare il quadro degli orrori del Novecento da sommare a quelli dei teatri di guerra veri e propri. Si è trattato, come Collotti documenta, di una strategia della fame inflitta dai rappresentanti del “Reich millenario” ai paesi occupati, come diritto di disporre senza limiti delle risorse alimentari di un intero paese; e col procedere della guerra, come trattamento “naturale”, per fiaccare il malcontento della popolazione.
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Africa: un ambiente ostile, le peripezie della storia di Gian Paolo Calchi Novati
(pagine: 111-129)
DOI: 10.7377/70437
Abstract Questo articolo prende in considerazione il caso dell’Africa, spiegato e descritto da Gian Paolo Calchi Novati, che ne analizza gli intrecci tra tanti interessi esterni alla popolazione agricola. Nella crisi del 2011 hanno figurato tutte le fattezze della “fame” in Africa: l’irregolarità delle piogge, le grandi distanze tra un territorio e l’altro, la politica e, endemicamente, la guerra. Dopo l’indipendenza ebbero avvio politiche che non premiavano a sufficienza i contadini, deprimendo i prezzi dei beni alimentari necessari per nutrire le città; e obbligando i coltivatori a consegnare allo Stato i prodotti per l’esportazione a prezzi non remunerativi per i produttori.
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I modelli Digiunare contro la fame: Danilo Dolci a Trappeto di Antonio Vigilante
(pagine: 131-144)
DOI: 10.7377/70438
Abstract Il saggio affronta contenuti spirituali e politici del digiuno di protesta, e poi dell’operato di Danilo Dolci in Sicilia e, parte dall’adesione, nell’immediato secondo dopoguerra, alla “Nomadelfia” di Don Zeno Saltini, prima che intervenissero dissensi che decisero Dolci ad allontanarsene. Quello di Nomadelfia era stato un esperimento per lui importante, ma viziato dal suo carattere di comunità chiusa, in qualche modo artificiale; e non sufficientemente svincolata dall’obbedienza alle gerarchie cattoliche. Restano ferme le ricerche geo-sociali, ricordate dall’autore e, rappresentate dagli ottimi libri-inchiesta di Dolci degli anni Cinquanta e Sessanta. Ci furono le ombre di una non superabile diffidenza ostile della Chiesa cattolica (dovuta anche all’avvenuto conferimento del Premio Lenin), ma, nel ricordo e anche nella militanza diretta, gli è stato riconosciuto un enorme merito di avvio a un lavoro di intervento che, ad esempio nell’opera di Lorenzo Barbera, non è mai stato interrotto e ha impiantato e proseguito nuove iniziative civili, come gli “scioperi a rovescio” dei disoccupati e le lotte per il riconoscimento dell’obiezione di coscienza estese in seguito a mobilitazioni nazionali. Centrale è, poi, il confronto tra l’ispirazione degli scioperi della fame di Dolci e quelli di Mohandas Gandhi elaborato da Vigilante, per la quale si rinvia a una lettura dettagliata.
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La fame in letteratura e nel cinema di Goffredo Fofi
(pagine: 145-149)
DOI: 10.7377/70439
Abstract Il saggio è una rassegna delle rappresentazioni della fame nel cinema e nella letteratura: e in sintonia col desiderio dei suoilettori egli rievoca per primo esempio La febbre dell’oro del 1925 di cui è protagonista proprio la fame, che ancora evocava una esperienza nota, e tale da suscitare emozioni e paure non occultabili. Tanto più lo erano state la vista della “zattera della Medusa” di Gericault, o la lettura di Dickens e di Victor Hugo. Le scene più celebri del film sono quelle che esprimono la disperazione di fondo dei personaggi pur riuscendo miracolosamente a far ridere: Charlot cucina il cuoio degli scarponi, e riscatta la presunta brutale materialità di quel pasto con l’allegria della danza da cafè chantant dei due panini infilzati nelle forchette, mentre il suo compagno di spedizione, allucinato dalla fame, vede Charlot in forma di grande pollastro e cerca di ghermirlo. I film e romanzi che hanno rappresentato l’atroce susseguirsi di carestie e guerre nel Novecento (dalla Ucraina alla Cina, al Bengala), che Fofi ci descrive con grande ricchezza di citazioni, testimoniano la straordinaria capacità del cinema di comunicare l’angoscia della fame come rovello non provvisorio; ma anche, di riscattare giocosamente quell’angoscia; come faceva il grande Totò.
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La fame di Pinocchio di Pietro Angelini
(pagine: 151-168)
DOI: 10.7377/70440
Abstract Il saggio affronta il tema della fame di Pinocchio, notando come, dalla apparizione sul “Giornale dei bambini” (1881-83), per più di settant’anni, l’immagine di Pinocchio che è passata sui libri e i libretti, sulle riviste e sui giornali e perfino sullo schermo, è stata quella del burattino allegro e spensierato, più goloso che affamato, più capriccioso che perseguitato, dando luogo a una vulgata che ha impoverito, se non banalizzato, il personaggio e la sua storia. In realtà la storia non è poi così rosea. Il tormentoso pungolo della fame spinge Pinocchio – soprattutto nella prima parte del libro – a correre, a scapicollarsi dappertutto, a dire bugie e a travestirsi di volta in volta da attore, da animale, perfino da adulto. Il fondo “buonista” e il patetico che apparenta Le avventure di Pinocchio al romanzo d’appendice, a un certo punto si contraggono, liberando un umore nero “fiorentino” che Collodi impiega quando la storia rischia di cadere nel quadro della letteratura per ragazzi. Collodi è bravissimo a tenere tese entrambe le corde; alla fine, lo sappiamo, vincerà il Pinocchio che si barcamena tra i due estremi, il Pinocchio che “si adatta”, ma nella memoria collettiva resterà infrangibile l’immagine del burattino che non sa mai quello che vuole.
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Archivio La fame! Un atto commovente di Leone Tolstoj
(pagine: 169-172)
DOI: 10.7377/70441
Abstract
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La fame come fenomeno universale di Josuè de Castro
(pagine: 173-180)
DOI: 10.7377/70442
Abstract
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Il manifesto del Cinema Novo. Estetica della fame di Glauber Rocha
(pagine: 181-183)
DOI: 10.7377/70443
Abstract
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La comune predisposizione alla sventura di Barrington Moore jr.
(pagine: 185-189)
DOI: 10.7377/70444
Abstract
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La parola Fame e crescita demografica di Massimo Livi Bacci
(pagine: 11-23)
DOI: 10.7377/70430
Abstract Massimo Livi Bacci, analizza l’interazione tra lo sviluppo demografico e la quantità-qualità del cibo disponibile. L’autore indica come fin oltre le soglie dell’età moderna ogni cattivo raccolto del grano abbia causato ondate di mortalità per fame: dovuta al mancato consumo di pane; o perché anche gli altri generi alimentari più pregiati, locali o trasportati da altri luoghi, aumentavano di prezzo causando la morte per inedia dei più poveri.
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