Presentazione
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La parola Exilium di Maurizio Bettini
(pagine: 1-14)
DOI: 10.7377/70474
Abstract L'autore risale alle origini romane, dove già compare la complessità della parola. Si tratta di un sostantivo derivato da un altro sostantivo, exul, il nostro “esule”, ossia “colui che soffre l’esilio”. Il “sentirsi esule è in parte indipendente dalla causa dell’esilio; l’autore evidenzia come i Romani sentissero affiorare, dietro l’exilium, prima di tutto la perdita del solum. Cita un passo molto interessante di Cicerone in cui viene esposta in tutta chiarezza la visione che i Romani ebbero dell’esilio nel periodo più antico della loro storia: l’exilium infatti non costituisce una pena comminata, ma una scelta fatta per sottrarsi a una pena o a una disgrazia incombente. L’exilium è un rifugio, l’exul abbandona Roma volontariamente per cercare asilo presso un’altra città o comunità, di cui entrerà a far parte perdendo la cittadinanza romana. Per conseguenza, quando a Roma si parla di exilium, almeno fino al periodo repubblicano, ci si riferisce a una pratica che, per noi moderni, corrisponde piuttosto a quella dell’emigrazione, con conseguente richiesta di asilo. Al tempo stesso, l’autore evidenzia anche come il “sentirsi esule”, sia in parte indipendente dalla causa dell’esilio. Si sentiva esule Ovidio che sul Mar Nero non comprendeva la lingua locale e temeva di dimenticare il latino.
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Esilio e cittadinanza di Giuliano Crifò
(pagine: 15-23)
DOI: 10.7377/70475
Abstract In questo articolo è implicito il rinvio al diritto internazionale che regola i rapporti fra Stati, ad esempio, anche in materia di diritto di asilo, che la nostra Costituzione sancisce nell’articolo 10, comma . L'autore parte dalla considerazione che all’esilio è connessa in genere l’idea di pena, sia che essa sia insita nel provvedimento che condanna all’esilio, sia che essa nasca comunque nell’animo dell’esule, espulso o volontario. Cicerone, citato da Crifò, scriveva che si tratta pur sempre di una scelta fra «libertas exili» e «domestica servitus» e che, si potrebbe dire nel migliore dei casi, l’esilio è «vestigium libertatis».
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Le interpretazioni L'esilio come categoria filosofica di Emanuela Fornari
(pagine: 25-39)
DOI: 10.7377/70476
Abstract L'autrice si sofferma a considerare come :esilio, esodo, fuga, siano divenute – in questo passaggio di millennio –categorie investite di un ruolo filosofico primario, chiamato a tracciare orientamenti in pratiche teoriche e politiche tese a sottrarsi alla linearità di ogni razionalità (etica, politica, economica). Che si parli di “esodo” dalle forme contemporanee di “messa a valore” della natura umana o di “fuga” dalle odierne sperequazioni e ineguaglianze che striano il mondo globale, quel che è posto in primo piano è innanzitutto un movimento di sottrazione – o di esilio – radicale.
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Il tempo dell'esilio di Carla Pasquinelli
(pagine: 41-54)
DOI: 10.7377/70477
Abstract Per Pasquinelli l’esilio è un disturbo antropologico che altera la percezione dello spazio e del tempo. La perdita definitiva della propria terra fa sentire ’lesule fuori posto o comunque in un posto sbagliato. Ma può essere anche una libera scelta fatta da uomini e donneche decidono di andarsene da un paese diventato troppo stretto, soffocante,illiberale, provinciale, che offre scarse opportunità di una vita che valga la pena di essere vissuta, o comunque troppo diversa dagli standard cui erano abituati
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Esilio ed estraniazione di Tito Marci
(pagine: 55-86)
DOI: 10.7377/70478
Abstract
In questo contributo, si vuole ripensare, sulla scia di Baudelaire, la figura dell’esule come emblematica della condizione moderna; e non soltanto sul piano dell’allegoria, quanto su quello delle odierne pratiche di esclusione. Pratiche attraverso le quali, come descritto in quest articolo,, si concentrano molte figure del moderno e della nostra contemporaneità,creando una costellazione di senso alla quale, oltretutto, non sfugge la piega (o la sfumatura) allegorica a cui certo Baudelaire riferiva la sua figura dell’estraneo. Inoltre Marci,ricorda esplicitamente la differenza che corre fra l’approccio giuridico e quello esistenziale al problema dell’esilio, entrambi, va ripetuto, variabili nel tempo.
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Le storie, i luoghi Inquisizione romana e intellettuali. Gli esuli religionis causa nel Cinquecento di John Tedeschi
(pagine: 87-102)
DOI: 10.7377/70479
Abstract Tra le molte conseguenze dell’operato dell’Inquisizione romana nel suo programma volto a estirpare l’eresia dall’ Italia durante il Cinquecento vene fu una particolarmente benefica per il mondo della cultura europea ma non certamente per la penisola, che subì una grande perdita intellettuale:la fuga all’estero degli esuli religionis causa. L'autore in questo contributo si sofferma sulla figura degli esuli che giovano a sé e agli ospitanti, quali ad esempio i cinquecenteschi esuli italiani religionis causa che contribuirono a diffondere in Europa la cultura italiana del Rinascimento
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Esilio e identità nazionale italiana di Agostino Bistarelli
(pagine: 103-123)
DOI: 10.7377/70480
Abstract Penosità e occasione di sviluppo di sé e di affinamento dei propri ideali convivono nell’esilio. Così gli esuli italiani del Risorgimento poterono cogliere una opportunità di cosmopolitismo e, provenienti come eranoda vari Stati, anticiparono nell’esilio la unificazione d’Italia, e questo valesoprattutto per gli esuli in Piemonte, che era sì uno Stato diverso ma era già sentito come patria comune.
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Diaspora di Stefano Levi Della Torre
(pagine: 125-140)
DOI: 10.7377/70481
Abstract
Può la millenaria diaspora del popolo ebraico rientrare nella categoria“esilio”? La questione è affrontata in questo contributo da Levi Della Torre, con uno sguardo che varca i secoli e giunge alla conclusione che la diaspora rimane un dato essenziale della identità ebraica anche dopo la nascita dello Stato di Israele.
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Esilio e antifascismo di Antonio Bechelloni
(pagine: 141-157)
DOI: 10.7377/70482
Abstract Fin dal primo apparire del movimento fascista con l’imperversare nelle campagne della pianura padana delle sue squadre, l’allontanamento forzato dalla propria terra per ragioni diverse dalla semplice difficoltà di procurarsi vitto e lavoro ritornò di attualità a distanza di poco più di venti anni dagli ultimi esiliati politici del secolo precedente, cacciati dal rigurgito reazionario del maggio 1898. li esuli dall’Italia fascista sperimentarono formule politiche per il futuro ed elaborarono larga parte della cultura antifascista.
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I modelli Esili incrociati. Percorsi tra la Russia sovietica e l'Asia centrale, 1920-1938 di Niccolò Pianciola
(pagine: 159-178)
DOI: 10.7377/70483
Abstract
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«Voglio così tanto vivere fino a rivederti!». Le lettere della madre a Boris Nikolaevskij in esilio di Maria Ferretti
(pagine: 179-212)
DOI: 10.7377/70484
Abstract In questo contributo l'autore, concentra la sua attenzione su altri protagonisti dell'esilio, coloro che restano a casa?.Anch’essi meritano un’attenzione che non sempre viene loro concessa. Ferretti illustra le lettere al figlio della madre di Boris Nikolaevskij, il dirigente menscevico in esilio dalla Russia sovietica. Le notizie anche minute su fatti, luoghi, persone, libri che si leggono,servono da una parte ad alimentare la nostalgia dell’esule per la patria lontana, dall’altra a coltivare i legami con chi è ormai irrimediabilmente distante.
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L'esilio nel diritto internazionale contemporaneo: pena o strumento di riconciliazione nazionale? di Lucia Aleni
(pagine: 213-229)
DOI: 10.7377/70485
Abstract L'autore sottolinea come l’esilio, nella forma collettiva di esodo forzato, sia stato di frequente utilizzato, nelle più recenti guerre civili,come forma di pulizia etnica, per bandire definitivamente dal territorio nazionale i cittadini appartenenti a una determinata etnia. A causa dell’impiego dell’esilio come pratica discriminatoria e afflittiva, all’interno della comunità internazionale sono stati compiuti molti sforzi per eliminare l’esilio dal novero delle pene consentite e per imporre agli Stati il rispetto del diritto di ciascuno a vivere e a tornare nel paese d’origine. Per un altro verso l’esilio è tornato in auge come misura di “autotutela”di un ordinamento, imposta (o proposta e non accolta, come nel caso di Saddam Hussein) a capi di Stato e di governo deposti, dopo il rovesciamento di regimi autoritari, per promuovere una più rapida pacificazione e riconciliazione nazionale e l’insediamento di un nuovo governo; si è, in tal modo,tornati a quella funzione tipicamente “politica”, che l’esilio assolveva negli ordinamenti dell’antichità.
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Migranti a Lampedusa: da esuli a clandestini di Gianluca Gatta
(pagine: 231-252)
DOI: 10.7377/70486
Abstract L'articolo è dedicato ai migranti di Lampedusa, un fenomeno tristemente contemporaneo in cui molte categorie esplicative si mescolano.
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